Il primo giorno dell'anno
Per me è come se
fosse Capodanno, visto che alla mia veneranda età continuo a ragionare per anni
scolastici; non so se è la mia conclamata sindrome di Peter Pan a parlare, o se l'imprinting
dato da 13 anni di scuola sia indelebile per tutti; però forse è perché il Capodanno
ufficiale non dà l'idea di uno stacco netto. Si passa da una giornata fredda,
magari nevosa, a un'altra giornata fredda e magari nevosa.
Invece nel passaggio
da agosto a settembre si vede la differenza: ieri era estate, oggi sono stata
svegliata dallo scrosciare violento della pioggia; mentre ero in macchina alla
volta dell'ufficio, mi sono cadute sul parabrezza un paio di foglie ingiallite;
mancava solo che alla radio mettessero i Righeira, ma il messaggio era
sufficientemente chiaro.
Insomma, inizia un
nuovo anno.
Personalmente non
sono tipo da fare buoni propositi, anche se solitamente di quest'epoca mi
prende una certa ansia di rinnovamento. Quest'anno, sull'onda di quest'ansia,
ho cambiato smartphone, approfittando biecamente del fatto che quello vecchio
avesse perso un piccolo pezzo non essenziale.
Deve essere perché,
nonostante non mi manchi affatto il liceo, né tantomeno i compagni di classe,
né i professori (tranne forse un paio), insomma, nonostante non sia affatto una
di quelle nostalgiche che vorrebbero ricominciare tutto da capo, mi mancano i
libri nuovi e profumati di colla, con le pagine patinate ancora tutte da
sottolineare. Lo so, è da malati, ma adoro i libri nuovi. Mi mancano i
mucchietti di quaderni spiritosi e colorati; mi manca la Smemo ancora intonsa,
come una tela vergine da pasticciare. Questo era il periodo in cui non vedevo
l'ora che iniziasse la scuola, per poter aprire quei libri, scrivere su quei
quaderni, ritrovarmi in classe con gli amici, che sono una delle poche cose che
mi sono rimaste da allora e di cui non mi sono mai stancata.
Il problema,
all'epoca, era che questo entusiasmo durava al massimo per la prima settimana,
poi allora come oggi contavo i giorni che mi separavano dal 10 di giugno, quei libri che tanto mi attraevano mi sembravano delle catene. L'unica oasi di felicità erano la Smemo e gli amici. Quando non ci scannavamo per i turni delle interrogazioni.
Il problema, oggi, è
che invece di iniziare al contare i giorni dopo una settimana, inizio il primo
giorno in cui rientro dalle ferie; secondariamente, poiché fin dalla nascita non sento dire altro
che "non esiste più la mezza stagione", credo di aver subito una
sorta di lavaggio del cervello: il mio guardaroba non contiene praticamente vie
di mezzo tra il prendisole e il piumino, tra i sandali e gli stivali, tra il
morire di caldo e il morire di freddo, e il dilemma mi attanaglia la mattina,
mentre, in mutande, osservo sconsolata l'armadio. Come se questa fissità nello
sguardo potesse creare dal nulla il vestito perfetto. Come se ciò potesse
fermare lo scorrere inesorabile del tempo.
Risultato: entro al
lavoro costantemente in ritardo, e per giunta sembra che mi sia vestita al
buio.
Tornerà l'estate,
prima o poi.
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