Filosofia e tempi di crisi
La scorsa settimana è iniziata così:
Lunedì:
- ho preso grandinata in tangenziale
- ho distrattamente lasciato le chiavi del garage dentro la macchina e me ne sono - ovviamente - resa conto un secondo dopo aver chiuso la porta, il che mi ha rovinato tutta la serata, con l'ansia che avevo di non riuscire ad uscire mai più dal garage.
E poi è finita così:
Venerdì:
Procedura di mobilità (che detto così non si capisce bene, ma che in soldoni vuol dire licenziamento) per 5 persone che lavorano nella consociata della mia azienda da - tipo - 15 anni; inclusi i miei magazzinieri carissimi.
Non intendo dire che le due cose siano collegate, né men che meno paragonabili, ma certamente se il buongiorno si vede dal mattino...
Comunque, ascoltare il consulente che segue le questioni del personale spiegare la situazione attuale e futura nel modo più astratto, confuso e nebuloso possibile alle persone che condividono il posto di lavoro con me mi ha suscitato una serie di pensieri.
Il primo pensiero è che un ufficio in cui passi la gran parte della tua
esistenza diventa volente o nolente una specie di famiglia. Come in
famiglia, non scegli tu le persone con cui ti dovrai rapportare, perciò
inevitabilmente ci sono da un lato persone che detesti con tutto il
cuore, e dall'altro persone che oltre a familiari diventano anche amici.
In mezzo ci sono quelle che non ti stanno particolarmente simpatiche, o
con le quali non hai un grande rapporto, ma che sono come dei cugini
alla lontana, e che diventano un po' parte del tuo mondo; per questo
motivo (oltre che per la naturale solidarietà che si prova pensando che
resterà senza lavoro), sapere che se ne andranno ti fa pizzicare gli
occhi. Ti fa sperare che sia solo un brutto sogno o che succeda qualcosa
che faccia cambiare la situazione, nel profondo del tuo cuore non
smetti di sperarci, anche se la testa ti dice che è impossibile.
Il secondo pensiero è stato che Confucio aveva ragione.
Piccola lezione di filosofia orientale, molto poco dettagliata e approfondita. Se siete assetati di conoscenza, vi rimando qui, onde possiate dissetarvi.
Chiedo
innanzitutto perdono ai miei professori, ai confuciani e a Confucio
stesso, ma vado un po' a memoria e soprattutto riferisco la mia
personale interpretazione applicata ai giorni nostri.
Premetto
che Confucio visse in un periodo di guerre tra i vari stati in cui si
era frantumata la Cina pre-Qin (la prima dinastia, fondata da Huang Di,
quello dell'Esercito di Terracotta, della Mummia 3 e di una serie
infinita di film storici cinesi tra cui Hero).
Quindi, per sintetizzare, un periodo di crisi profonda, e di confusione morale, politica e sociale.
Vi ricorda nulla?
Come
contrastare questa confusione imperante? Il bello delle filosofie
cinesi è che sono estremamente pragmatiche: è necessario ristabilire la
corrispondenza delle parole con le cose.
Cioè, nella spiegazione di Confucio stesso, procedere alla "Rettificazione dei nomi":
"Se i nomi non vengono rettificati, le
parole non sono in accordo con la realtà delle cose; se le parole non
sono in accordo con la realtà delle cose, gli affari non possono essere
portati a compimento; se gli affari non sono portati a compimento, i
riti e la musica non vengono coltivati; se i riti e la musica non
vengono coltivati, le punizioni non vengono assegnate nel modo giusto;
se le punizioni non vengono assegnate nel modo giusto, il popolo non sa
come muovere le mani ed i piedi. Perciò il saggio nomina solo ciò di cui
può parlare, parla solo di ciò che sa fare: nelle parole del saggio non
ci può essere nulla di inesatto" ("Dialoghi", XIII, 3)
Vi ricorda ancora qualcosa? A me sì.
Perché
ogni volta che sento un politico dire che i rimborsi elettorali sono
qualcosa di diverso dal finanziamento pubblico ai partiti e altre simili
prese per i fondelli; ogni volta che un consulente dice "verrete
inseriti nelle liste di mobilità" omettendo volontariamente il fatto che
ciò comporta l'interruzione del rapporto di lavoro - cioè il
licenziamento, né più né meno; ogni volta che leggo "emergenza rifiuti"
"emergenza caldo" "emergenza neve" sui quotidiani; ecco, ogni santa
volta penso, oltre a una serie molto lunga di insulti e parolacce, che
se fosse obbligatorio per legge chiamare le cose con il loro nome, non
ci sarebbe più spazio per fare i furbi, trovare cavilli, aggirare le
leggi e fare del sensazionalismo gratuito. Il che peraltro comporta
anche che mio padre, fiero sostenitore della massima "l'italiano è una
lingua precisa", non solo mi abbia educata bene da quel punto di vista, sia anche fondamentalmente un confuciano.
E chi lo conosce sa che questa è una battuta veramente divertente.
Commenti
io non ho in conforto della saggezza ma solo la compagnia della rabbia..