Le nevole
Finalmente è arrivata l'estate.
Non si muove una foglia, in giro non c'è nessuno, nell'aria c'è un profumo di zampirone che mi catapulta indietro di almeno 20 anni. Lo zampirone è la mia madeleine.
La stanza mia e di mia sorella nel grande palazzo, la volta alta sopra di me, il muro freddo, la consolle stile impero con il vaso greco a disegni rossi, i quadri inquietanti con i santi e quelli frivoli con le damine francesi, il rumore dei piccioni nel sottotetto, l'odore dello zampirone, le voci roche dalla strada, la luce arancione dei lampioni e i rintocchi dell'orologio della chiesa di San Domenico.
La prima sera non riuscivo mai a dormire, mi sentivo spaesata per essere stata catapultata dalla mia vita borghesemente normale in Piemonte alla vita un po' rigida di casa di mio nonno; e quella Santa Lucia che stava proprio di fianco al mio letto, con i suoi occhi sul piatto e una palma in mano mi metteva un po' d'ansia. Ché poi, in quel dipinto come in tutti quelli che ho visto, la Santa gli occhi li aveva anche al loro posto. Ho sempre pensato che sarebbe stato più realistico se fosse stata bendata e gli occhi fossero stati solo sul piattino, e anche se oggi so cosa vuol dire "iconografia", onestamente continuo a pensarlo.
Se non riuscivo a dormire contavo i rintocchi dell'orologio, che batteva ogni quarto d'ora; quindi anche se mi svegliavo nel cuore della notte, mi bastava aspettare che suonasse per sapere che ora fosse.
Il primo giorno ci svegliavamo tardi, di solito non andavamo al mare. Per prima cosa dovevamo andare a salutare nonno in camera sua; nonno era altissimo e aveva un'aria severa, ma ogni volta che parlava (e non stava litigando con mio padre o mio zio) aveva un mezzo sorriso ironico. Credo ci amasse, ma non era molto affettuoso, soprattutto se paragonato a mio padre. Seconda tappa: il buongiorno alla moglie di mio nonno, che di solito era sul terrazzo a fare il solitario di Napoleone o a fare ginnastica mentre ascoltava radio 1 su una radiolina nera; era bella come un'attrice di Hollywood e aveva un fisico che io oggi mi sogno di avere.
Poi finalmente scendevamo in cucina a fare colazione.
Una delle domestiche, Antonietta, qualche volta preparava le nevole all'anice per darci il benvenuto. Allora le mangiavo più che altro per cortesia, ma non mi piacevano tanto. In questo momento non so cosa darei per poter mangiare una nevola fatta da Antonietta.
In cucina c'era quasi sempre un buon profumo di sugo, o di nevole, o di sapone da bucato, tranne i giorni in cui preparavano la pappa dei cani che era una delle cose più puzzolenti che io mi ricordi. L'odore di quel pappone usciva dalla cucina, attraversava il cortile e si spandeva fino alla nostra camera; fortunatamente non ristagnava.
Quando tornavamo nella nostra camera di solito i letti erano fatti e quando eravamo piccole le valigie erano già state disfatte. Lavate e vestite, stavamo sugli enormi divani della biblioteca antica e guardavamo la televisione, oppure se la nonna andava dai contadini a prendere uova e formaggi la accompagnavamo, oppure andavamo tutti quanti a portare i cani in campagna.
Mio nonno amava i cani, in modo eccessivo e malsano e un po' dittatoriale, e c'era un piccolo branco di 5 o 6 tra pastori tedeschi, trovatelli e bastardini, che lo seguivano dappertutto. Li lasciava indietro solo se usciva (evento alquanto raro, in effetti) o se scendeva nella biblioteca. Accanto alla nostra camera c'era la biblioteca detta antica, perché conservava i libri antichi e le enciclopedie (che dovevano sempre essere sottomano per poter dirimere le discussioni stupide tra nonno, papà e zio). Invece al piaterreno c'era la biblioteca nuova, creatura di mio nonno che collezionava le collane più pregiate di libri. Se avessi potuto ci avrei passato le giornate, ma era una specie di paradiso proibito. Anche mio padre, quando scendeva a prendere un libro, sembrava quasi intimorito, e lasciava nel posto vuoto sullo scaffale un foglietto con scritto che l'aveva preso lui.
La cosa che mi piaceva di più delle spedizioni proibite con mio padre, oltre ai libri e allo strano profumo e consistenza che aveva l'aria lì sotto, erano il telescopio antico che non funzionava e una stanza segreta dietro a una delle librerie. Come nei veri castelli.
Per il resto delle vacanze andavamo soprattutto al mare, ogni tanto stavamo a casa, andavamo a cene interminabili a casa di amici di famiglia, con un sacco di persone tutte vestite e ingioiellate, o ai compleanni degli amichetti del mare, con un sacco di persone tutte vestite e ingioiellate; qualche volta venivamo invitati a cena da uno dei contadini di mio padre, e allora si mangiava il prosciutto fatto da loro, le salsicce sott'olio, le sagne coi fagioli e mille altri piatti di cui ho perso il conto; i figli dei contadini di solito erano molto più educati degli amichetti "upper-class" del mare, e mi piacevano quelle cene. Le serate che preferivo però erano quelle in cui andavamo a mangiare gli arrosticini, lì nel paese c'è il miglior ristorante di arrosticini del mondo, a detta di mio padre. Facevamo a gara a chi ne mangiava di più e poi giocavamo a shanghai con gli spiedini bruciacchiati.
Una volta, quando ero già più grande, fui prescelta per accompagnare mio padre a una cena con amici suoi, da un arrosticinaro in mezzo alla campagna. Mia sorella, offesissima, rimase con i nonni. Ricordo che andammo con la 500, in mezzo alle colline coperte di ulivi, con una luna piena gigante al punto che si poteva andare a fari spenti. Il viaggio fu bellissimo, la cena un po' meno, ma ho ancora negli occhi il paesaggio notturno, e l'orgoglio per il fatto che mio padre mi portasse a cena con sè come se fossi un'adulta.
Ma ormai è un'epoca finita, morta e sepolta.
Torna solo quando nelle sere d'estate sento l'odore di uno zampirone.
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