This is the end
Venerdì 20 - giorno 10
Sono un po' titubante all'idea di fare il resoconto della giornata di venerdì. I motivi sono molteplici, ma principalmente non vorrei che qualcuno fraintendesse quello che scriverò. Ma, perché il resoconto sia completo e veritiero, non posso tralasciare nemmeno un giorno, da brava cronista.
Premessa: il Producer ha iniziato dal giorno uno a scassare la uallera per andare allo zoo-safari di Fasano. Ed è riuscito a convincere i 5 maschi del trullo dei single ad andare tutti insieme. Noi ragazze continuavamo a non essere interessate, quindi ci è sembrato comunque carino restare al trullo, iniziare a preparare i bagagli e sistemarci per la serata; anche se, a dirla tutta, perdermi l'ultimo giorno in spiaggia mi dispiaceva, così come separarci in due gruppi.
Ma, d'altro canto, lo zoo-safari chiudeva alle 5 e la per serata saremmo stati tutti insieme, in modo da salutarci come si deve; e l'idea di non dover fare poi le valigie a tirar via e la prospettiva di goderci il trullo e magari fare un sonnellino (che puntualmente non ho fatto) mi hanno convinta della bontà della soluzione.
I cinque se ne vanno, noi siamo virtualmente senza auto in mezzo alla campagna profonda, ma va tutto bene.
Pranziamo con gli avanzi della cena della sera prima, sentiamo un po' di musica, ci divertiamo. C'è chi prende il sole, chi è indeciso se leggere/fare la valigia/prendere il sole, chi aggiorna il blog... Il tempo passa pigro, il sole è caldo ma c'è un po' di brezza, quel trullo è un paradiso, beviamo succo d'ananas e Aperol a go-go. Manca solo un sexy-giardiniere a completare il quadro.
Verso le sei di sera inizio a chiedermi che fine possano aver fatto i ragazzi. Dopo un po' riceviamo un sms in cui ci informano che si stanno recando a fare l'aperitivo in riva al mare; vabbè, torneranno per cena, speriamo. Aspettiamo. Si fanno le 8.30, nessuna traccia di loro e ormai siamo fuori tempo massimo per aderire al gruppo del Grigliatore che andava a cena a Brindisi. Il paradiso trullesco diventa una specie di prigione, o la torre di quattro Raperonzole, ma senza l'ombra di un principe Azzurro nei dintorni. Mi metto a fare la valigia e mi disinteresso dell'evoluzione della serata, cercando di distrarmi dalla sindrome dell'abbandono e dalla lieve incazzatura che mi stanno pigliando. Ceniamo a base di mozzarelle e nodini (di nuovo), inventiamo un nuovo cocktail (anzi, la Cubista lo inventa) con i fichi freschi, lime, vodka alla pesca e, per chi vuole, una spruzzata di Aperol. Buonissimo, così buono che bevo il mio e ne finisco altri due rimasti senza proprietaria. La valigia è quasi completata, l'alcool mi fa sentire tutta la stanchezza accumulata nei giorni scorsi, ma quando all'alba delle 10.30 i nostri eroi si presentano a casa sono ancora sveglia e pronta a uscire, anche se un po' incazzata.
Appena salgo in macchina, sedile posteriore, metto la testa tra il montante e il poggiatesta e praticamente svengo. In 20 giorni di ferie non ho mai dormito così bene e così profondamente. Tra l'altro mi pare di aver capito a posteriori che abbiamo sbagliato strada un paio di volte, per cui ho anche dorminto più del previsto.
Arrivati alla festa sono ancora distrutta dal sonno, ma tra il vento, la musica, un mojitino e il ballo mi riprendo abbastanza, rimorchio perfino un sedicente fiorentino (un vero gioiello di uomo come solo io posso rimorchiarne... ma per lo meno stavolta non è un albanese, che di solito sono le mie prede d'elezione). Verso le 3 sono del tutto sveglia; due tizi mi chiedono l'accendino e sono talmente idioti che non riescono ad accendere una sigaretta in due; stufa dell'idiozia maschile, e onde evitare che mi scarichino l'accendino nuovo con la loro inettitudine, li aiuto in modo un po' rude suscitando l'ilarità della Cubista. Alle 3.15 dopo un pellegrinaggio alla toilette ce ne andiamo, facciamo uno spuntino una volta arrivati al trullo (indovinate? sì, esatto: ancora mozzarelle) e infine vediamo l'aurora alle 5 e mezza inerpicandoci sul tetto.
Quando metto la sveglia il telefonino, sempre troppo sollecito, mi informa che mancano 2 ore e 30 minuti. Grazie. Mi viene da piangere.
Sabato 21 - giorno 11 - partenza
Ovviamente la sveglia libera non è contemplata, dobbiamo essere fuori dalla casa entro le 10 del mattino. Facciamo colazione rapidamente, per quanto possa essere rapida una persona che si sente le ossa fatte di piombo e le giunture flessibili come blocchi di marmo. Riusciamo anche a lavare i piatti, e alle 10 siamo incredibilmente fuori dalle stanze. Carichiamo le macchine, di nuovo in perfetto stile tetris, e ci avviamo all'altro trullo per salutare il Boss, la Guida, la Mora e il Pescatore, e abbandonare alle loro cure Mr. Wonderful e relativo bagaglio.
Sono realmente dispiaciuta che non siamo stati insieme il giorno prima, quindi cerco di mettere tutto il mio affetto e la mia gratitudine in quel solo abbraccio. Sono persone fantastiche, tutti loro, e spero sinceramente di rivederli e organizzare qualcosa tutti insieme.
Rimasti in otto, ci avviamo verso Bari. Per prima cosa ci fermiamo a comprare il biglietto del pullman per la Cubista e un altro oggetto indispensabile per me. Dopo di che ci avviamo, guidati dal Producer, alla ricerca di un posto dove mangiare una focaccia come si deve, cercando in tutti i modi, nel contempo, di far prendere una o più multe allo Chef. Se la missione sia stata o meno compiuta, lo sapremo solo tra qualche mese.
La prima focaccia che prendiamo non è propriamente il massimo, ci dicono gli esperti, così ci mettiamo a cercare un posto un po' più tipico. Lo troviamo e oltre alla focaccia, che è definitivamente migliore, decidiamo che è inaudito ripartire senza aver assaggiato risopatateccozze. Non me ne intendo, ma mi è sembrato buonissimo, anche se (o proprio perché) degustato sul cofano della macchina del Sarto. Per buttare giù tutto manca solo un caffè freddo, preso in un posto talmente elegante che un camallo si sarebbe sentito troppo chic per mettervi piede. Con dispiacere salutiamo la Cubista, e ci dirigiamo nuovamente verso il centro per fare una passeggiata dentro Bari vecchia.
Il centro è deserto, siamo praticamente soli a contemplare la maestà della facciata di S. Nicola. Fa caldo e ho i jeans che mi si incollano alle gambe, ma ogni tanto un refolo di vento mi dà sollievo. Facciamo un bel giretto intorno al castello e torniamo alle macchine. Dobbiamo andare all'aeroporto.
Arriviamo in perfetto orario, crediamo, finchè non entriamo e vediamo la scena infernale al check-in. La coda non è una coda ma un ammasso informe e immobile. Stiamo in coda una intera ora, ci godiamo una rissa tra una famiglia di francesi che saltano la coda infilandosi di lato e una famiglia di Milano che li insulta "nous avons les enfants" "nous avons les enfants un c***o! Vergognatevi, al vostro paese però non le fate queste cose". Solidarizziamo col milanese, la signora dietro di me che con aria indifferente cercava di guadagnare posizioni capisce che marca malissimo e si rassegna ad attendere il proprio turno. Alle 17, un'ora dopo esserci messe in coda e 10 minuti dopo che è già iniziato l'imbarco, finalmente ci possiamo catapultare al gate coi sudati biglietti.
Questa è la fine. Milano ci accoglie con una simpatica temperatura di 30° umidi, recupero la macchina e fatico a coordinare i movimenti elementari per la stachezza. Benedico mentalmente lo Chef che ha guidato benissimo in condizioni di stanchezza allucinanti. Lascio la Ballerina, compro le sigarette; non trovo posto sotto casa e devo camallarmi le valigie per un pezzo, odio i jeans e l'assenza di vento. Ma sono a casa.
Solo che stasera il mio amato monolocale mi fa sentire sola.
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