Travolti
Ci sono metafore che rispecchiano modi molto diversi di affrontare la vita e le sue difficoltà.
C'è il modello Scarlett O'Hara, che va avanti come un caterpillar per raggiungere i propri scopi e non permette che nessuna avversità la abbatta.
C'è il modello Dottor Zivago, che si lascia trasportare dal destino come una foglia nella corrente.
C'è il modello giunco, che è flessibile e difficilmente si spezza.
C'è il modello quercia, che resiste fino a un certo punto e poi crolla.
Ce ne sono moltissimi altri, ma i miei preferiti sono questi.
Tu vorresti essere lottatrice come Scarlett, e flessibile come un giunco, e ti senti un'idiota quando ti sorprendi a navigare rassegnata alla deriva.
Solo che in certi momenti ti senti stanca di nuotare controcorrente, di combattere contro le ondate grandi e piccole, e allora ti fermi a fare il morto a galla per riprendere fiato. E scopri come sia comodo e piacevole, stare lì e pensare "vada a cagare tutto; quello che deve essere sarà, qualunque cosa io faccia, quindi perché accanirsi, sforzarsi, sudare, lottare?". Sono quei momenti in cui per quanto ti agiti ti sembra di non approdare mai a nulla, la corrente ti tiene inchiodata sempre nello stesso posto.
In momenti così, che, devo dire, ultimamente capitano sempre più di frequente, di solito mi curo così:
1. guardo "Fiori d'Acciaio", o altro film lacrimevole e molto drammatico. Così sono certa di piangere (Sally Field è una grande attrice), dopo di che mi sento già più combattiva;
2. ascolto "Take it Easy" degli Eagles, e mi sento già più leggera; in alternativa ascolto "Easy" dei Faith No More, o anche "Shine" dei Take That. Ebbene sì, l'ho detto. Take That. Giuro, un po' me ne vergogno, ma non ci posso fare nulla, quella canzone mi mette troppo di buon umore.
3. leggo Murakami, in particolare L'uccello che girava le viti del mondo, o Dance dance dance. Se vi incuriosisce il motivo, vi consiglio di leggerli.
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