Oltre il ponte

Sfidando coraggiosamente virus gastroenterici ed eventuali ricadute, sfidando il traffico e gli incidenti, sfidando il rischio di climi siberiani, ma, soprattutto, sfidando la maledizione che grava su tutti i viaggi che abbiamo organizzato e mai potuto fare in questo anno 2010, le nostre tre eroine hanno passato un bellissimo week-end nella Serenissima.
Le tre eroine in questione sono la sottoscritta, la Bambina del Nord e la Ballerina.
La buona notizia è che l'incantesimo è rotto. Siamo riuscite a fare il viaggio. Niente è andato storto. Ora posso dirlo. Ho viaggiato con la borsa piena dei medicinali che avrebbero potuto servirmi. Plasil, Imodium, Tachipirina. Niente doveva fermarci, stavolta.  
Perchè Venezia. Ho fatto l'università lì, ci ho vissuto per 6 anni. Era tanto che volevo tornarci. Lì abita ancora la mia famigliola veneziana. La mia amica Cicci, la mia sorella putativa, la ragazza che se fossi nata uomo avrei sicuramente sposato. Ormai siamo a un livello tale che non dobbiamo nemmeno guardarci in faccia per capirci, ci leggiamo direttamente nel pensiero.
Lei è rimasta a Venezia. Io non ho mai pensato che sarei rimasta dopo gli studi. Venezia è una città difficile da vivere, una città in cui la vita ha ritmi lenti che non si accordano con i tempi moderni, in cui se si decide di comprare una cassa d'acqua lo si fa a proprio rischio e pericolo, in cui alcune case sembrano progettate da Escher sotto oppiacei; io non posso pensare di metterci una mattinata per fare due commissioni, di ascoltare se la mattina suonano le sirene dell'acqua alta e sapere che ci metterò ancora più tempo per andare dove devo andare.
Però non mi ero mai resa conto di quanto quella città assurda mi manchi.
E' bella. Basta guardarsi intorno e qualcosa di bello, uno scorcio, un  edificio, una colonna messa lì senza apparenti motivi, colpisce lo sguardo. Il Fato ci ha stranamente accordato due giornate di sole, un clima ideale, abbiamo percorso chilometri e chilometri sotto lo sguardo protettivo dei leoni alati che sorvegliano tutta la città. C'era un po' di foschia, ma la foschia si addice a Venezia, come uno strato di tulle che attenui il colore troppo sgargiante di una bell'abito. Ieri ad esempio l'isola di San Giorgio (nella foto, sullo sfondo) sembrava emergere da una nuvola, c'era questa nebbia bassa sulla laguna che nascondeva l'acqua e sembrava di volare.
Ovunque mi girassi emergeva un ricordo. Avevo questa strana sensazione di non essermene mai andata ma nel contempo mi rendevo conto di tutti i cambiamenti che ci sono stati in questi anni; come se percorrendo il ponte della Libertà non fossi solo tornata dalla terraferma alla laguna, ma come se fossi tornata dal presente al passato; o a un presente alternativo. E' rimasta una città per turisti e per famiglie. Non ci sono locali dove i giovani vadano a divertirsi, dopo le 10 di sera è difficile incontrare gente, forse la vita è un po' noiosa rispetto a come sono abituata ora.
A Milano mi diverto molto, mi trovo bene, ho un bel gruppo di persone che considero davvero buoni amici e che mi mancano quando non ci vediamo; faccio un sacco di cose che non potrei fare in nessun'altra città, men che meno a Venezia. Ma quando sono tornata a ieri sera mi è sembrata brutta in maniera insopportabile. Lo so, in realtà non è nemmeno così brutta, ma paragonata a Venezia sembra una periferia industriale.
Forse se diventerò mai ricca mi ritirerò a vivere a Venezia e farò da mecenate a giovani promettenti artisti. Trema, Peggy Guggenheim!

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